Claudio D'AmatoPIMU 2015, family portraits è un contenitore. Un luogo dove scorriamo i volti dei giovani protagonisti di questa edizione e ci facciamo raccontare qualcosa di loro. Uno spazio che tiene conto delle emozioni a caldo di chi si è appena esibito sul palco del Teatro Marchetti e che ci aiuta a tratteggiare ogni membro di quella che è la grande famiglia del jazz. 

Claudio D’Amato, classe 1986, hammond, Pescina, (L’Aquila)

 

D: Come è andata?

R: Sono soddisfatto, è una bella esperienza. C’è un livello altissimo tra i partecipanti e sono orgoglioso di aver passato la prima fase di selezione ed essere approdato a Camerino per le finali.

D: Perché hai scelto questo pezzo?

R: “Softly”? Semplice, perché lo adoro, rientra nelle mie corde, mi dà la possibilità di esprimere al meglio le mie capacità e le mie emozioni.

 D: Il Premio, l’obiettivo è vincerlo ma a parte questo?

R: L’obiettivo è quello di incontrare gente nuova, nuovi musicisti con cui dialogare, al di là della competizione del Premio. Confrontarsi con altri e trovare spazio in formazioni nuove e poi certo, incidere un disco con i miei pezzi.

D: Cos’è il jazz per te?

R: Il jazz è una naturale conseguenza di tante ore, giorni, mesi, anni dedicati all’ascolto dei grandi. Non è un linguaggio che può essere insegnato secondo me. È qualcosa che si impara da soli attraverso l’ascolto attento dei grandi della musica e di se stessi. Ovviamente si ha bisogno di una conoscenza armonica, di tecnica. Io vengo dalla musica classica. Non l’ho abbandonata, ancora la suono… il jazz è un altro lato del mio essere musicista, più creativo. È un’arte estemporanea, un fraseggio che hai dentro e che migliora con il tempo, l’esperienza, il dialogo, il confronto.[:]