Matteo PastorinoPIMU 2015, family portraits è un contenitore. Un luogo dove scorriamo i volti dei giovani protagonisti di questa edizione e ci facciamo raccontare qualcosa di loro. Uno spazio che tiene conto delle emozioni a caldo di chi si è appena esibito sul palco del Teatro Marchetti e che ci aiuta a tratteggiare ogni membro di quella che è la grande famiglia del jazz. 

Matteo Pastorino, classe 1989, clarinetto, Parigi

 

D: Come è andata?

R: Sono molto soddisfatto. Anche se credo che le situazioni di gara, di competizione, non aiutino a rendere al massimo. La musica va oltre il “gioco” della competizione. Poi alla fine di tutto si tratta di un mettersi alla prova. Ho ritrovato vecchi amici, ne ho conosciuti altri e ho avuto la gioia di incontrare dei big come Rava, Maurizio Urbani e tanti altri.

D: Perché hai scelto questo pezzo?

R: “Foggy day” è un pezzo che adoro. Mi piace il testo, la melodia, mi permette molto. Poi c’è la versione di Marsalis che è superlativa.

 D: Il Premio, l’obiettivo è vincerlo ma a parte questo?

R: L’obiettivo è fare buona musica con buona gente. Trovare nuove strade, nuove forme espressive, sempre nel rispetto di quello che c’è stato e che c’è, musicalmente parlando, s’intende.

D: Cos’è il jazz per te?

R: Il jazz è una malattia. È patologico: quando ti prende non ti molla più. Ti fa attraversare momenti brutti e momenti bellissimi. Il bello è che hai bisogno di entrambi e quando ti regala istanti indimenticabili è perché hai saputo accettare quelli da cancellare… ti regala la gioia di vivere.